Di Gaetano Vilnò
Voglio fare una premessa,il Dott.Stefano Montanari insime alla Moglie Dott.essa Gatti sono persone di alto profilo professionale,sono scienziati,scienziati senza compromessi,scienziati che non hanno paura di rivelare verità scomode. Stefano Montanari lo ritengo un amico,una persona umanamente sensibile,schetto,spontaneo,umile,come me ha avuto il brutto incontro con il comico Grillo,come me non si è arreso.
Accusato da psudo grillini di essere un’approfittatore,accusato delle più basse menzogne esistenti,sembra quasi di tornare al medioevo quando gli scenziati veri venivano messi al rogo.
Stefano Montanari è
Nanoparticelle, premio internazionale Il duo Gatti-Montanari ai vertici mondiali
http://www.affaritaliani.it/emilia-romagna/nanoparticelle-premio-internazionale-il-duo-gatti-montanari-ai-vertici040612.html
Stefano Montanari parla di nanoparticelle
abbiamo analizzato 24 vaccini.
Temo che ben pochi italiani conoscano il nostro lavoro. Nostro: di mia moglie e mio.
Tra mille difficoltà, non ultima quella della sottrazione dl nostro strumento di lavoro da parte di Beppe
Grillo (http://www.stefanomontanari.net/sito/images/pdf/grillo_microscopio.pdf), noi siamo gli scopritori
delle nanopatologie, le malattie da micro- e nanoparticelle. Infarto, ictus, una serie infinita di cancri,
malformazioni fetali, aborti, malattie insospettabili dai non addetti ai lavori come un certo tipo di diabete
sono alcune delle nanopatologie e la loro origine è quasi invariabilmente l’inquinamento.
Non so per quale miracolo, ancora riusciamo a far sopravvivere la ricerca e, nell’ambito della ricerca,
abbiamo analizzato 24 vaccini.
Inizialmente lo facemmo per nostra curiosità, poi, qualche anno dopo, perché arrivò da noi Francesca
Sola, una ragazza proveniente dall’Università di Parma che ci chiedeva di poter fare la sua tesi di laurea
analizzando alcuni vaccini con la nostra tecnica. Così partimmo, anche se non fu sempre facile reperire i
campioni perché in alcuni casi questi non sono disponibili in farmacia ma solo presso strutture pubbliche e,
dunque, si dovevano chiedere al produttore il quale non gradiva ficcanaso.
Senza troppa sorpresa visti i risultati precedenti, anche i campioni analizzati con Francesca rivelarono
tutti un contenuto di polveri solide, inorganiche, non biodegradabili e non biocompatibili, il che significa
inevitabilmente capaci d’innescare malatie.
Di questo mia moglie avevamo già parlato in precedenza con qualche rappresentante di case farmaceutiche
i quali si dissero “molto interessati” a ciò che avevamo rilevato. Una volta – si era a Firenze nell’autunno
del 2008 – ne parlai pure ad uno dei corsi di aggiornamento cui i medici devono assistere e, a fine lezione,
venne da me, molto imbarazzato, un pezzo grosso della “ricerca” (mi dispiace dover chiudere la parola
tra virgolette, ma non ho altre possibilità) di un produttore di vaccini che mi pose un sacco di domande,
assicurandomi che avrebbe dato seguito alla cosa. E il seguito, come in ogni altro caso, fu il muro di gomma.
Nessuna meraviglia: non esiste alcuna disposizione legale a proposito di quelle eventuali presenze e,
dunque, si può impunemente far finta di nulla. E di questo verrà fatta chiara menzione da parte di un
responsabile della produzione di vaccini qualche anno più avanti, come vedrà chi arriverà in fondo a questo
capitolo.
Un episodio degno forse di considerazione fu quello accaduto nell’autunno 2012. Come ogni anno in
quel periodo la campagna per indurre più persone possibile a vaccinarsi nei confronti dell’influenza si
stava scatenando. Improvvisamente accadde qualcosa, qualcosa che non ebbe poi una spiegazione che
potesse reggersi scientificamente: di alcuni tipi di vaccini antinfluenzali venne bloccata la vendita. La
notizia mi arrivò tramite un comunicato di agenzia e cinque minuti dopo ero nella farmacia più vicina al
mio laboratorio per vedere di acquistarne un pezzo di ognuno prima che la notizia arrivasse al farmacista.
Di tutti i vaccini sospesi solo l’Agrippal era disponibile e il farmacista, ignaro del provvedimento, me lo
consegnò. Erano le 15 e 24 del 24 ottobre come da scontrino. Non ero ancora uscito quando arrivò in
farmacia la telefonata di annuncio: l’Agrippal non si può vendere. Io, però, la scatola l’avevo pagata, avevo
tanto di ricevuta e me ne andai. L’analisi non fu confortante: particelle di Ferro; di Ferro e Titanio; di Zolfo,
Bario, Cloro, Silicio, Alluminio e Sodio; di Silicio, Sodio, Alluminio, Bario e Zolfo; di Silicio, Calcio, Titanio e
Alluminio; di Calcio, Alluminio, Silicio e Piombo; di Ferro e Zinco; di Ferro, Cromo e Nichel, cioè di acciaio.
Le loro dimensioni andavano dalle centinaia di nanometri a qualche micron, fino ad agglomerati di decine
di micron. Di fatto, un bel campionario di pezzetti di materia solida che in una soluzione iniettabile proprio
non dovrebbero starci.
Come sempre avevamo fatto, e questo va specificato con estrema chiarezza, noi avevamo analizzato un
solo campione e non più campioni provenienti da lotti diversi. Insomma, una sorta di fotografia istantanea
e non un film.
Per completezza d’informazione, aggiungo che passò appena qualche giorno e i vaccini bloccati tornarono
di libera vendita senza spiegazione alcuna. Solo le rassicurazioni generiche e non sostanziate da alcuna
spiegazione da parte delle cosiddette “autorità”.
Il 21 novembre dello stesso anno vennero a trovarmi in laboratorio due agenti dei Carabinieri del NAS di
Parma e io consegnai loro il risultato dell’indagine. Nessuna accusa a nessuno, per carità: l’analisi era stata
fatta su una sola confezione e un incidente può capitare. Anche se in un vaccino…
Comunque sia, non ho notizie di reazioni da parte dei Carabinieri né da chi è preposto a vigilare sui farmaci.
Il che non è affatto stupefacente se si considera ciò che era accaduto l’anno prima.
L’anno prima era venuto da me Luigi Pelazza, uno dei giornalisti del programma televisivo Le Iene con
cui avevo già girato diversi servizi, dicendomi di aver parlato con il dottor Gianpietro Spinosa di Losanna
a proposito del Gardasil, il vaccino “contro il cancro del collo dell’utero” (anche qui le virgolette sono
d’obbligo.) Ciò che Spinosa, ginecologo di lungo corso e di grande prestigio tanto in Svizzera quanto
all’estero, gli aveva comunicato era che quel prodotto era poco o nulla attivo, e questo stando a quanto il
produttore stesso riportava nella letteratura presentata all’FDA, l’ente statunitense che dà licenza di messa
in distribuzione ai farmaci, un ente che ha giurisdizione solo negli Stati Uniti ma la cui autorità scientifica è
riconosciuta ovunque, tanto che un placet FDA è praticamente un via libera quasi a livello planetario.
Pelazza mi consegnò un campione di Gardasil chiedendo che fosse analizzato, cosa che facemmo
trovandolo, ahimè, inquinato dalle ormai solite polveri. Nel caso di quel campione, come sempre uno solo,
le particelle che trovammo erano composte da Rame, Alluminio e Ferro; da Piombo e Bismuto; da Ferro e
Fosforo e da Ferro solo. Le dimensioni, più o meno le solite, da non molti nanometri a qualche micron con
particelle solitarie e altre agglomerate.
Con quei dati in mano Luigi Pelazza prese un appuntamento con la Sanofi Pasteur di Roma, la distributrice
del Gardasil con il cui produttore è in condizione di joint venture, e l’unica azienda in Europa che si occupi
solo della produzione di vaccini. Così, andammo a Roma. Oltre a mia moglie e, naturalmente, a Pelazza
c’erano Spinosa e due operatori di audio e di ripresa video.
Fu un’intervista che durò non molto meno di quattro ore e ci trovammo di fronte un professore
dell’Università di Bologna convocato dall’Azienda, qualche tecnico e il dottor Roberto Biasio che della
Sanofi è il direttore medico scientifico. Ovviamente la Sanofi non aveva grandi armi per ribattere alla sua
stessa letteratura e alle nostre analisi e, ad intervista conclusa, ce ne tornammo ognuno a casa propria.
Per motivi che preferisco non esporre per carità di patria, la Sanofi si oppose immediatamente a che il
servizio fosse trasmesso e così fu, ma Luigi Pelazza riferì della cosa ai Carabinieri del NAS di Roma e questi
mi convocarono. Andai. Era domenica 2 ottobre 2011 e passai tutto il pomeriggio alla loro sede dell’EUR.
Risposi a tutte le domande, spiegai il problema legato a quegl’inquinanti, consegnai i risultati delle analisi
e… e non accadde nulla. Nulla se si eccettua una visita al nostro laboratorio di Modena del dottor Biasio con
cui avemmo una conversazione molto interessante (Biasio ha una preparazione tecnica di tutto rispetto)
e ci lasciammo con l’assicurazione che alle nostre analisi si sarebbe dato seguito. Credo che nessuno si
sorprenda se dico che il seguito è stato pari a zero e tra qualche paragrafo arriverà la spiegazione.
Passò un po’ di tempo, fino a che non mi telefonò Valentina Corvino, giornalista del settimanale Il
Salvagente. Mi chiese un’intervista a proposito dei vaccini in generale e del Gardasil in particolare.
Questo video vi farà fare molte riflessioni
Le dissi,
riassumendo molto, delle nostre ricerche e dei nostri risultati e ne uscì un articolo di diverse pagine (Il
Salvagente n. 38 del 27 settembre 2012). La parte più interessante se si vuole avere idea della situazione
in cui ci troviamo, però, non era quella dedicata a me ma la parte, molto più stringata, dedicata al dottor
Biasio. Cito alla lettera: ‘Biasio è stato uno degli interlocutori di Montanari e sulle analisi afferma: “Sono
condotte con metodologia seria, ma non sono pertinenti agli standard di qualità richiesti dalle procedure
di produzione e rilascio dei lotti di vaccini; le nanoparticelle si possono trovare anche in altre sostanze
e alimenti e non possono considerarsi pericolose per la salute umana se rispettano i limiti previsti dalle
norme.’
Traducendo, Biasio dà atto che le nostre analisi sono ineccepibili ma aggiunge che, non esistendo regole,
iniettare pezzi di metallo, per di più di composizione tanto varia quanto ignota, è del tutto lecito. Poi dice
che le particelle sono innocue se si rispettano i limiti previsti. Di quali limiti parli non è dato sapere perché,
appunto, non esistono limiti né, peraltro, vengono effettuate le analisi del caso, costituendo queste una
spesa inutile per l’Azienda e, in fondo, comportando il rischio di darsi una zappata sui piedi. Se si scoprisse
che la produzione è inquinata, occorrerebbe cercare l’origine del problema e, necessariamente, porvi
rimedio. Ma, se nessuno è al corrente del problema, si può tranquillamente fingere che il problema non
esista. E, se ci saranno conseguenze, si potrà sempre continuare ad affermare che sono dovute a chissà che
o che non esistono affatto. Va poi ricordato che l’European Environment Agency, cioè l’ente europeo che
si occupa di ambiente, nel suo rapporto 2/2007 a pag. 9 scrive “For PM, no safe level has been identified,”
il che significa che nessuno ha mai trovato un limite tollerabile per le particelle, e questo per le particelle
sospese in aria. È fin troppo ovvio che, iniettate in un organismo, le particelle hanno un effetto di gran
lunga più aggressivo.
Ma il dottor Biasio non ha finito: “Non metto in dubbio il fatto che particelle estranee possano essere
individuate all’interno di un flacone di vaccino, ma si tratta di rarissimi casi isolati, identificabili tramite
l’ispezione visiva, sempre prevista da parte del medico prima della somministrazione di qualsiasi farmaco.
I processi produttivi per i vaccini, come per qualsiasi altro prodotto, non sono perfetti, ma sono molto
evoluti e lavoriamo perché ci sia un costante miglioramento. Ciò, tuttavia, non significa che i vaccini non
siano dei prodotti altamente puri e sicuri: nessun prodotto è più controllato”.
Traduco ancora una volta. Secondo Biasio aver trovato 24 vaccini su 24 inquinati è un fatto rarissimo. Poi,
stando all’intervista, il medico guarda la fiala del vaccino e vede se dentro, in sospensione, ci sono delle
particelle. Mi chiedo come faccia un essere umano, pure forte di una laurea in medicina e della vista di un
falco, a vedere ad occhio nudo cose che solo un microscopio elettronico può discernere. E mi chiedo pure
quale sia il livello di controllo e di sicurezza degli altri farmaci se i vaccini, che, a sentire Biasio, sono al top
della sicurezza, c’è dentro ciò che abbiamo trovato noi in tutte le circostanze.
Lo stesso numero della rivista porta pure un intervento della dottoressa Stefania Salmaso, direttrice del
Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e protezione della salute dell’Istituto superiore di sanità:
“Tutti i lotti immessi in commercio sono testati attraverso una serie di controlli di qualità stringenti e
standardizzati da parte di diversi istituti europei, tra cui anche l’Istituto superiore di sanità. I controlli
sono complessi e di qualità certificata, non fanno testo osservazioni di singoli studi effettuati in modo
estemporaneo e non riproducibile.”
La domanda ovvia è quali siano i controlli di “qualità stringenti”, visto quello che evidentemente sfugge,
e pure è inevitabile chiedersi come si possano definire estemporanee e non riproducibili indagini la
cui metodologia risulta da un progetto di ricerca europeo, indagini la cui attendibilità è stata ammessa
addirittura da chi da quelle analisi era stato colpito nei propri interessi come fu per il dottor Roberto Biasio.
Ma non voglio infierire, limitandomi ad esprimere la mia preoccupazione riguardante il ruolo di un ente
come l’Istituto superiore di sanità.
Un fatto è certo: al di là delle incertezze sull’efficacia dei vaccini e dell’effettiva necessità di prevenire
malattie tutto sommato meno pericolose di quanto non lo siano gli effetti collaterali inevitabili in
ogni farmaco e, dunque, anche nel caso in questione, si spalanca una voragine di cui pare pochissimi
comprendano la reale portata, una portata certo ben compresa dai produttori che, però, se ne stanno
rigorosamente zitti. Io temo che una parte tutt’altro che trascurabile dei problemi della cui responsabilità
i vaccini sono sempre più sospetti sia da attribuire alla presenza d’inquinanti solidi, non biodegradabili
e non biocompatibili di cui la legge s’infischia. Fino a che si continuerà a far finta di nulla, fino a che i
medici, e i pediatri in particolare, saranno tenuti nell’ignoranza dalle case farmaceutiche di fatto detentrici
della “cultura” specifica, non ci sarà via d’uscita. È del tutto indispensabile che si mettano in pista senza
altri indugi ricerche non di facciata e non agli ordini di Big Pharma ma del tutto indipendenti. Indugiare
significherebbe aumentare a dismisura tanto i guai sanitari quanto la nebulosità in cui ci si dibatte e,
invece, noi abbiamo bisogno di chiarezza perché ognuno, poi, possa scegliere come comportarsi in base
ad elementi certi. Vista la quantità enorme di denaro coinvolta nella questione e visto che il denaro può
indurre in tentazione, per essere relativamente sicuri dell’affidabilità dei risultati occorre che non sia un
solo gruppo di ricercatori ad occuparsi del problema ma siano più di uno, in modo che ognuno sappia di
essere controllato e, dunque, sappia che nascondere o distorcere i risultati non sarà facile come è stato fino
ad oggi. Certo, occorreranno quattrini e tempo, ma ne vale la pena.